Lavorare ai tempi del COVID-19

Il Coronavirus è la grande emergenza mondiale del 2020, un epidemia iniziata in Cina alla fine dello scorso anno che dopo aver contagiato più di 80.000 persone nel paese d’origine si è diffuso velocemente in tutto il resto del mondo, concentrandosi particolarmente, tra altri, in Italia.

Nei primi mesi di quest’anno infatti; l’epidemia si è fatta strada nel nostro bel paese creando non pochi problemi.

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Alibaba.com campione di incassi e-Commerce

alibaba

Tra i grandi BIG dell’e-Commerce mondiale si piazza sicuramente al primo posto il Gruppo Alibaba: la piattaforma di shopping online fondata da Jack Ma il 4 aprile del 1999.

Alibaba.com ha riscontrato un enorme successo per il ‘Single Days Shopping Festival’ edizione 2019, il corrispondente al Black Friday occidentale. E’ andato in scena l’11 Novembre, superando già alle 16 (ora di Pechino) la quota di 30 miliardi di dollari di merci vendute!.

I volumi delle vendite nell’arco delle 24 ore sono stati di 268,44 miliardi di yuan preliminari, pari a 38,37 miliardi di dollari.

Il traguardo raggiunto quest’anno ha bruciato quello del 2016, giornata in cui i cinesi avevano speso un ammontare complessivo di 17,8 miliardi di dollari, e ha superato anche le previsioni degli analisti, che avevano scommesso su una cifra di 24 miliardi di dollari. 

Del resto tante cose sono cambiate dalla prima edizione del ‘’Global Shopping Festival di Alibaba’’, indetta otto anni fa, a cui si presentarono solo 27 brand. All’appello quest’anno si sono presentati 140mila marchi, di cui 60mila internazionali.

Alibaba è riuscito ancora una volta a sorprendere la scena mondiale, battendo tutti i record dello shopping online e acquistando cento milioni di nuovi utenti che hanno partecipato alla maratona. Oltrepassando ancora una volta una piattaforma come Amazon, che ormai da anni prova instancabilmente a dominare la piattaforma cinese, portando a casa scarsi risultati. 

Jack Ma, in diverse interviste ha rilasciato consigli utili per i giovani imprenditori, ispirandoli e invogliandoli a raggiungere il successo.

Il fondatore è pienamente convinto che ci sia un tempo per ogni cosa. Se si vuole raggiungere un’obbiettivo, bisogna costruirselo piano piano, passo dopo passo, nel corso della propria crescita.

Sostiene che impegno, tenacia e determinazione siano gli ingredienti giusti per raggiungere l’obbiettivo.

’’Ogni errore crea sempre splendide opportunità… bisogna credere e non lasciarsi ostacolare dalle difficoltà, se cadi ti rialzi, se cadi ti rialzi e così via.’’, dice lui. 

I nuovi canali e i modelli distributivi multi canale sono una delle maggiori possibilità per le imprese anche di ampliare la loro clientela, oltre che essere una fonte di guadagno ovviamente. Alibaba.com è una delle tante prove concrete, a questo punto, che il mondo dell’e-Commerce stia prendendo piede e sopratutto di come stia dominando notevolmente il panorama mondiale.

Il commercio digitale è oramai una realtà consolidata, ma richiede alle imprese un approccio basato su una buona conoscenza delle dinamiche che lo governano e un costante aggiornamento.

Per strutturare un buon e-Commerce è necessaria un’azienda consapevole, aggiornata e in grado di riuscire nell’intento. Edempg, ha un team specializzato per la creazione di siti web con pagine dedicate all’e-Commerce  

Come esempio tra tutti, vale la pena citare l’azienda Terre Alte (www.terrealtevillarboit.it) che ha deciso di affidarsi al nostro team per la realizzazione del sito con tanto di e-Commerce e la gestione del canale Instagram

Edempg si rinnova ogni giorno per aiutare i propri clienti ha raggiungere traguardi ambiti e al passo con tecnologie e tendenze e… perché no, seguendo anche i consigli del signor Jack Ma.

INFLUENCER: LAVORO DA SOGNO?

Favij, Luis Sal, Chiara Ferragni, Clio Makeup, Humansafari…sono solo alcuni nomi dei numerosi “influencer” che ormai popolano il web e i social network. 

Ma cosa significa esattamente essere un influencer?

La parola è già di per sé significativa e potrebbe essere tradotta con il termine “influenzatore”. È infatti qualcuno le cui parole hanno un certo peso, una certa influenza, sulle persone (e sul mercato). Parole, ma anche post, storie, dirette: come ben sappiamo, oggi i social media assorbono la maggior parte della nostra quotidianità. Ed è proprio grazie a piattaforme come Instagram (instagramer), YouTube (youtubers e vloggers), Twitter e Facebook, ma anche attraverso blog personali, che gli influencer riescono a farsi conoscere e a raggiungere un pubblico anche molto vasto.

Possiamo quindi definire influencer un soggetto che:

  1. produce contenuti riguardanti un argomento specifico,
  2. è dotato di grande seguito,
  3. è capace di influenzare le opinioni degli altri e creare intorno a sé una comunità di persone attive che lo segua quotidianamente.

Ogni ambito ha il suo influencer

In realtà, sotto la parola influencer si trovano diverse sottocategorie, che vanno dal fashion al tech, dal travel al beauty, fino ad arrivare al fitness e al food. 

I food influencer, in particolare, oggi stanno avendo sempre più seguito, anche grazie al proliferarsi della food photography nel mondo social. Tuttavia, i primi blog di cucina risalgono al 2007-2009 e ciò pone l’accento su come i primi influenzatori siano stati proprio gli amanti della cucina e del cibo. Tra i più seguiti di questa categoria abbiamo: Chiara Maci (Chiara in Pentola), Sonia Peronaci (fondatrice di GialloZafferano) e Enrica Panariello (Chiarapassion), che ogni giorno arricchiscono le loro pagine e i loro blog con ricette gustose e fotografie di piatti invitanti.

Anche i travel influencer guadagnano ogni giorno migliaia di followers, grazie a fotografie e video di paesaggi mozzafiato, squarci di città e hotel da sogno, spesso realizzati tramite action cam, droni e macchine fotografiche avanzatissime. Che invidia, eh? In Italia, il più amato è Nicolò Balini, aka Humansafari, che a 28 anni è uno dei principali punti di riferimento degli amanti dei viaggi.

Una posizione di prestigio hanno poi i fashion influencer, che postano contenuti riguardanti moda, capi d’abbigliamento, accessori, sfilate ed eventi di settore. Non si può non conoscere Chiara Ferragni: prima influencer italiana, si è successivamente affermata come la migliore nel mondo e oggi ha più di 17 milioni di followers.

Abbiamo poi i tech influencer, appassionati di tecnologia, che si occupano di recensire e comparare prodotti per aiutare i consumatori nelle loro scelte. Spesso sperimentano le nuove tecnologie e ricevono in anteprima prodotti di ultima generazione, postando sui loro canali video di unboxing. Chi non si è affidato almeno una volta ai consigli di Salvatore Aranzulla o ai video di Andrea Galeazzi dedicati al mondo degli smartphone?

Notiamo poi come ogni giorno nuove figure decidano di condividere in rete la propria passione per il make up o per il mondo beauty in generale: sono i beauty influencer, il cui obiettivo è insegnare a valorizzare il proprio aspetto esteriore. Cristina Fogazzi, conosciuta come Estetistacinica, si è fatta apprezzare grazie a una buona dose di umorismo, unito a professionalità e sincerità. Altro nome importante è Patrick Simondac, alias Patrickstarrr, noto per essere stato il “primo uomo del make-up”.

Infine, per gli amanti del workout ci sono i fitness influencer, che elargiscono consigli per quanto riguarda sport, esercizi e corretta alimentazione. Seguitissima è Kyla_Itsines, soprattutto grazie al suo programma di allenamento intensivo Bikini Body Guide (BBG), che comprende una serie di esercizi e un piano alimentare sano. 

In conclusione

Sempre più brand si rivolgono agli influencer, inviando loro prodotti, che essi, dietro lauto compenso e se in linea con il loro stile, pubblicizzeranno poi nei loro post. Si va dalle cose più piccole (profumi, make up, prodotti alimentari), fino a oggetti più costosi (macchine fotografiche, droni, smartphone). 

Il termine tecnico di questa attività è product placement che, dopo il mondo del cinema, è approdato nell’uso quotidiano al di fuori del grande schermo. Oggi, nei post e/o nei video necessita di essere specificato con alcuni termini che ne sintetizzano lo status di “paid advertising”: “Paid partnership with…”, “Sponsorizzato da…” o l’hashtag #ad seguito dal nome del brand sponsorizzato. 

Il loro è un lavoro e una posizione che si sono costruiti nel tempo con grande tenacia e passione. Oggi, scorrendo le loro pagine e leggendo i loro introiti, siamo tutti affascinati dalla loro vita e spesso dimentichiamo che dietro tutto ciò ci sono ore di lavoro, scelte, sacrifici. Fare l’influencer significa inoltre mantenere un certo status, l’approvazione e la stima di chi ci segue, senza però perdere credibilità e mantenendo saldi i propri principi e le proprie convinzioni. Quindi, è davvero così facile il lavoro dell’influencer?

 

Articolo scritto da Giulia Bozzetti

Visual marketing: quando è il colore a fare la differenza

Vi siete mai chiesti quanto le nostre scelte di acquisto siano influenzate da un semplice colore?

Facciamo un esempio. Stiamo passeggiando per le vie del centro, con la coda dell’occhio scorgiamo il rosso fuoco della vetrina di un negozio, ne siamo attratti e ci avviciniamo. In fondo abbiamo tempo per dare un’occhiata anche dentro, perché no? Entriamo e ci troviamo circondati dal blu delle pareti: finalmente un po’ di calma, avevamo proprio bisogno di staccare un attimo dall’agitazione caotica del centro. Sentendoci più rilassati, approfittiamo per guardare i prodotti più a lungo. Ne troviamo uno davvero interessante – magari proprio del nostro colore preferito – lo acquistiamo e il gioco è fatto!

L’importanza del colore

I colori giocano un ruolo cruciale a livello di marketing. É stato dimostrato che il consumatore formula il giudizio su un prodotto entro 90 secondi e che il criterio maggiormente utilizzato per quel giudizio è il colore. Sapete inoltre che il solo colore aumenta dell’80% la riconoscibilità di un brand?

Non bisogna dunque sottovalutare la ricerca del colore perfetto per un’azienda: sarà lo specchio della sua identità e dei suoi valori, sarà il filo conduttore che si snoderà tra packaging, prodotti, logo, punti vendita, pubblicità… e qualsiasi altra macro o micro area del brand. 

Attenzione anche alle associazioni cromatiche, che devono risultare armoniche per non disorientare il consumatore. La giusta calibrazione è essenziale poiché il nostro cervello tende a rifiutare sollecitazioni visive caotiche e disordinate. L’attenta coordinazione tra colori, invece, permette di raggiungere un’armonia visiva che riusciamo a cogliere molto più facilmente.

Alcuni parametri da considerare

Un colore, però, non ha valore universale. Bisogna innanzitutto inquadrare bene il proprio target, valutando parametri come il genere e l’età dei propri clienti.

Uomini e donne, infatti, hanno preferenze cromatiche differenti. Secondo lo studio di Joe Hallock, entrambi apprezzano in particolare il blu, ma, ad esempio, il viola risulta essere tra i favoriti delle donne e tra i meno amati dagli uomini. Inoltre, gli uomini preferiscono tonalità più scure e forti, le donne più chiare e tenui.

Il significato di un colore, inoltre, può variare notevolmente da cultura a cultura. In Sudafrica, ad esempio, il colore del lutto è il rosso!

Qualche esempio

Il rosso – quello che ci aveva attirati verso quella vetrina durante la nostra passeggiata in centro – è il colore che richiama attenzione più di tutti, induce all’azione, richiama al pericolo. Nella cultura occidentale è il colore della passione, della forza, dell’energia. Viene utilizzato spesso per le call to action sui siti web (in forte contrasto con il colore di sfondo); per il settore della ristorazione, per i brand che puntano all’azione.

Il blu invece ispira calma, fiducia, riflessività. È il colore più utilizzato per i social network, ma anche per il settore aereo, sanitario, tecnologico e per istituti assicurativi e bancari. 

Anche il verde trasmette tranquillità. È legato in particolare all’ambito -appunto – “green”, biologico e naturale.

L’energia e l’ottimismo del giallo invadono invece il settore energetico e tecnologico.

Il viola è legato a lussuria ed eleganza. 

Il rosa è per eccellenza -e convenzione- il colore legato al mondo femminile…

Conclusioni

Ogni colore porta con sé un mondo di associazioni e sensazioni uniche, che richiamano in noi ricordi ed esperienze differenti, ognuna tipicamente contrassegnata dalla particolare atmosfera che impregna quel colore. Con la sua gamma di sfumature infinite, il colore tocca ogni tassello dell’esperienza umana, dalla più tranquilla alla più energica, dalla più intensa alla più delicata, ricostruendo un arcobaleno che illumina il nostro mondo, fatto di ricordi ed emozioni, di sensazioni e di inevitabili scelte.

Articolo scritto da Annalisa Berti

Il codice a barre

Cos’è il codice a barre?

Il codice a barre GS1 è un linguaggio globale per identificare informazioni sui prodotti. Il barcode è stato inventato per ridurre gli errori e per garantire la tracciabilità dei prodotti, permette di risalire a informazioni fondamentali come la marca, il tipo di prodotto e il prezzo. Ogni giorno nel mondo vengono letti più di cinque miliardi di codici. 

Il barcode GS1 più diffuso è formato da una serie numerica di 13 cifre, graficamente è tradotta in barre verticali, con spazi bianchi e barre nere, solitamente posizionato sull’etichetta del prodotto.

Come leggere e ottenere il codice a barre

Le prime 9 cifre indicano l’azienda a livello internazionale, le 3 cifre successive identificano il codice del prodotto e l’ultimo numero è di controllo, calcolata tramite algoritmo. 

Per ottenere il codice a barre o EAN bisogna iscriversi al sito che consente di avere il codice e una volta iscritto si riceverà: 

– Un file Excel con 1000 codici EAN univoci e autentici di 13 cifre

– Il numero d’identificazione dell’azienda valida nel mondo 

– Le credenziali per l’area privata nella quale registrare i prodotti e scaricare l’immagine grafica dei barcode EAN

I costi per ottenere i codici variano secondo il fatturato dell’azienda.

Il codice a barre può avere diverse grandezze:

  • Minime
  • Normali
  • Massime 

I colori del barcode possono variare, devono essere sempre scuri con sfondo bianco o rossastro, l’importante è che sia sempre leggibile. 

La storia del codice a barre:

Il 3 Aprile del 1973 i manager americani, Bernard Silver e Norman Joseph Woodland, sollecitati da un direttore di un supermercato decisero di utilizzare un codice comune che permettesse di identificare i prodotti. L’idea arrivò in spiaggia, Woodland inizia a disegnare sulla sabbia dei punti e delle linee orizzontali, prese dal codice Morse. Ovviamente da questo disegno non ne seguì subito il codice a barre che conosciamo oggi; prima si pensava che fosse meglio un disegno con cerchi concentrici, la leggibilità era migliore, ma alla fine ha vinto l’idea delle barre verticali. 

Il primo “beep” nella storia fu il 26 Giugno del 1974.

Il codice a barre è stato una delle più grandi invenzioni, grazie ad esso è possibile capire quanti e quali prodotti vengono acquistati; in questo modo si può affiliare il cliente e capire quindi le sue esigenze. 

Immaginiamo per un momento un mondo senza codici a barre GS1. Quanto sarebbero lunghe le code alle casse dei supermercati? Quanto sarebbe frustrante per i consumatori? Basta pensare a cosa succederebbe se per un solo giorno, al supermercato, gli scanner alle casse non funzionassero e gli addetti dovessero digitare a mano i numeri presenti sui barcode di ogni prodotto della spesa dei clienti.

 cit. Miguel Lopera, presidente e ceo GS1

FONTE: https://gs1it.org

Articolo scritto da: Elisa Simonetti

 

La “nuova ludicità”: quando gioco è sinonimo di lavoro

Se dico “ludico” a voi cosa viene in mente? 

Divertimento, svago, passatempo, immagino a grandi linee. Invece no. 

Oggi il ludico investe e pervade il quotidiano, ne è persino una chiave di lettura. Esso assume anche le caratteristiche del lavoro tanto che si parla di “sovrapposizione di tempi e spazi del gioco a tempi e spazi del lavoro”. Ma andiamo per gradi. 

“Nuova ludicità”

Peppino Ortoleva illustra un concetto chiave di quella che definisce “nuova ludicità”: il “semi-ludico”, prodotto della fusione di lavoro e tempo libero. Concetto che comporta la rinuncia all’idea di gioco come attività esclusivamente infantile. Perché? Perché come il lavoro anche il gioco richiede impegno, pone degli obiettivi e prevede ricompense per chi li raggiunge e penalità per chi trasgredisce le regole. A proposito di regole, nel gioco l’utente aderisce alle norme, le dinamiche e i valori che governano lo spazio d’azione; prende le distanze dalla realtà e sperimenta ruoli diversi. Più precisamente diremo che assume punti di vista “in sicurezza”, ad esempio può calarsi nelle vesti di un paracadutista e immaginare l’ebrezza di vagare nel vuoto senza il minimo rischio. In questo senso si attribuisce al gioco una “capacità simulativa”, dal momento in cui funge da palestra di vita. 

Inizialmente ho menzionato l’idea di giustapposizione di tempi e spazi del gioco a tempi e spazi del lavoro: pensiamo a quando apriamo e chiudiamo nei nostri computer delle finestre di gioco, così tecnologizzando le pause e i tempi morti. A ben rifletterci ci accorgiamo che molti oggetti ludici sono disegnati proprio per soddisfare esigenze di svago circoscritte e modulari, eppure finiscono per istituire nuovi spazi di gioco. Per non parlare del percorso inverso, cioè di quando il gioco si fa lavoro: ormai è prassi servirsi dei non-tempi (attesa del treno, viaggio, post pranzo/pre cena) per messaggiare, telefonare, inviare email, giocare ai videogame e tanto altro. Negandoci il riposo e applicandoci in attività mentali con costanza e dedizione, diamo un che di lavorativo a ciò che dovrebbe essere mero intrattenimento.  

Il tutto ha un’evidente implicazione, ossia l’attiva partecipazione dell’utente che non si esaurisce nella semplice fruizione del prodotto mediale ma si estende alla negoziazione delle regole di gioco. In altri termini non solo l’utente gioca, ma giocando reinterpreta le regole di gioco e ne modifica la struttura.

Un esempio:

Avete mai sentito parlare o avuto a che fare con un librogame? Per chi non vi fosse familiare, il gamebook è un libro stampato diviso in paragrafi molto brevi; al termine di ognuno il lettore/giocatore deve compiere una scelta e affrontare una prova; in base all’esito di questo momento interattivo la lettura proseguirà in un paragrafo o nell’altro, ergo gli esiti potenziali della storia sono molteplici.

La scelta del percorso di lettura, quindi, non solo determina l’interattività del prodotto mediale ma consente all’utente di alterarne la struttura indipendentemente dal volere dell’autore, la cui posizione si fa sempre più nebulosa. Da questo capiamo che un simile oggetto ibrido fornisce un’esperienza più ludica che letteraria sfruttando un supporto tradizionale qual è il libro stampato; inoltre capiamo, o meglio, confermiamo che ad oggi la situazione ludica è qualcosa di completamente negoziabile, con dei confini modulabili, e questa “negoziabilità” si deve al continuo emergere di nuove tipologie di gioco.

La ludicità non si può circoscrivere perché è un processo, una disposizione nei confronti delle cose: “ludicizzazione” non significa costruire delle cose ludiche, ma indurre dei processi ludici nel consumatore. Un consumatore che non solo fruisce ma costruisce contenuti: il cosiddetto “prosumer”.

Articolo scritto da: Federica Macchetti.

Gli YouTuber, le webstar che hanno fatto della passione una professione

 “E tu, cosa vuoi fare da grande?”

Il quesito da mille milioni di dollari, capace di innescare una profonda autoriflessione a cui nemmeno Freud sarebbe riuscito a portarvi.

Fino a non troppo tempo fa, quali sono state le professioni più ambite, quelle su cui fantasticare la notte prima di dormire? Probabilmente il dottore per il bambino ambizioso, l’artista per quello creativo, l’astronauta per quello romantico. Oggi, però, se provassimo a rivolgere questo interrogativo ai giovanissimi, molti risponderebbero candidamente “lo voglio diventare uno YouTuber”. Prima di cercare su Wikipedia il significato dell’astruso inglesismo, vediamo di fare chiarezza su questo fenomeno che ormai ha raggiunto una portata globale.

Professione YouTuber, le caratteristiche:

Partiamo dall’inizio. YouTube è una piattaforma web che consente di caricare, condividere e visualizzare video online. Lo YouTuber è chiunque produca dei video e li carica nella piattaforma.

Per diventare tale i prerequisiti di base non sono complessi da raggiungere: basta infatti essere in possesso di una telecamera, una connessione ad internet ed avere qualcosa di interessante di cui parlare o da insegnare. Coloro che da questa piattaforma hanno acquisito un discreto successo di pubblico e sono riusciti a fidelizzare la propria audience sono diventati cosiddetti influencer. Si tratta di un fenomeno impressionate se si considera la vastità del bacino d’utenza che questi ragazzi possono raggiungere. Solamente in Italia ad oggi si contano ventuno milioni di utenti, di cui il 39% ha un’età compresa tra i 18 e 34 anni.

Oggi quella dello YouTuber è non solo una passione ma una possibile professione, in un social network mondiale dove ogni minuto si caricano oltre 400 ore di video.

Dai video amatoriali… 

Veniamo ora ad analizzare più approfonditamente la questione.

Probabilmente il segreto del successo di uno YouTuber, innanzitutto, è la sua costante narrativizzazione della propria vita in maniera innovativa. Video dopo video, infatti, egli costruisce la storytelling dell’identità del personaggio che decide di interpretare. Nonostante su YouTube sia impossibile avere un rapporto diretto come quello in presenza, l’immediatezza che si riesce a trasmettere cattura l’attenzione della cosiddetta Generazione Z, che consuma questi prodotti audiovisivi in una cameretta identica a quella in cui gli YouTubers si truccano, giocano ai videogiochi, parlano della loro giornata. Come risultato, la freschezza delle modalità espressive riesce a coinvolgere il pubblico come pochi altri mezzi di comunicazione sono riusciti a fare.

… alla monetizzazione

È proprio l’interazione che si genera tra creator e iscritti a decretare l’ammontare del guadagno di ciascun canale. Maggiore è il numero di “mi piace” e commenti dell’utenza, maggiore sarà il numero di visualizzazioni totalizzate per ciascun video. A quel punto lo YouTuber può monetizzare le proprie produzioni originali tramite inserzioni pubblicitarie, dunque è pronto a riceverne i profitti. YouTube monetizza i contenuti dei suoi YouTuber tramite il CPM, ossia il costo per mille visualizzazioni o impression di un video. La cifra raggiunta corrisponde alla somma di denaro che gli sponsor danno a YouTube per visualizzare le loro pubblicità ogni 1000 video.

Per rendere questi complessi meccanismi il proprio pane quotidiano bisogna raggiungere livelli altissimi di popolarità, cosa che accade più difficilmente di quanto si pensi. Si tratta di una vera e propria giungla, soprattutto perché numerose ricerche dimostrano come il panorama sia estremamente polarizzato verso alcune grandi personalità. Comunque, il fatto che il numero di YouTubers professionisti è in costante crescita, fa ben sperare ai giovanissimi con cui si è aperto questo articolo.

Il caso PewDiePie, la webstar con numeri da capogiro

Ognuno di noi sarebbe disposto a mettere la mano sul fuoco sul fatto che purtroppo nella realtà le bacchette magiche non esistono, ma ogni certezza si sgretola di fronte al canale di questo ragazzo svedese, PewDiePie per gli amici virtuali. Alcune stime riportano che gli introiti annuali grazie al suo lavoro online ammontino a 11 milioni di dollari: non avete avuto un mancamento leggendo questa cifra?

Per la cerchia di amici più ristretti il suo vero nome è Felix Kjellberg, e con quasi 100 milioni di iscritti e più di 21 miliardi di visualizzazioni complessive dei suoi video è il più famoso YouTuber al mondo. L’audience da record gli ha permesso di firmare un contratto con la casa produttrice Maker Studios, di proprietà della Disney, ma il sogno si è infranto quando tra gli show prodotti dal ventisettenne sono apparsi almeno nove video antisemiti. Nonostante questi gravi avvenimenti, la sua fama da divo della piattaforma non accenna ad esaurirsi. A questo punto, una domanda sorge spontanea: quale tutorial avrà seguito step by step per diventare uno YouTuber così di successo?

Il caso YouTube Italia: lo “sconfinamento” nei media tradizionali e nuovi produttori del sistema

Spostandoci infine nel nostro paese, è interessante prendere in considerazione le riflessioni di Andrea Amato e Matteo Maffucci, autori del recente libro “Rivoluzione YouTuber”. Il volume si concentra sull’analisi di un fenomeno molto particolare, cioè il fatto che diversi YouTubers che un tempo furono i pionieri italiani della piattaforma, oggi siano approdati all’utilizzo di media per così dire tradizionali. Ad esempio Willwoosh, al secolo Guglielmo Scilla, che ha lavorato in televisione, radio e scritto libri; Frank Matano, che è stato conduttore de “Le Iene” e giudice in “Italia’s got Talent”; FaviJ TV, gamer che è stato anche protagonista di una pellicola cinematografica.

A quanto pare, a dispetto della popolarità online, i veri big di YouTube Italia si sentono probabilmente in dovere di “legittimare” in qualche modo il loro successo ottenuto con mezzi “anticonvenzionali” tramite i media più classici, dal libro alla scatola televisiva. Tutto ciò può realizzarsi grazie a nuove personalità, a cui Amato e Maffucci hanno dedicato parte delle pagine, ovvero veri cacciatori di talenti che diventano produttori del sistema: Francesco Facchinetti, Eugenio Scotto e  Luciano Massa, ad esempio, pur venendo da esperienze diverse hanno saputo selezionare giovani promesse all’interno del panorama online e a fare di esse i nuovi volti del futuro. Il loro compito è quello di guidare i migliori verso una maturità professionale e una carriera promettente, fino a ridisegnare il rapporto tra media, creators e casa di produzione, dunque i meccanismi di funzionamento interni dell’Industria YouTube.

Conclusioni

Nonostante trasformare la passione in una professione remunerativa sia un percorso in salita, la portata del fenomeno YouTubers in termini di valore economico è sicuramente indicativa di quanto ormai tutto ciò rappresenti il mondo del futuro. La nuova generazione continua a cercare la notorietà tramite l’intrattenimento prendendo a modello quelle webstar di caratura internazionale, e non, che oggi ci sembrano i detentori del futuro della comunicazione e, a quanto pare, anche dello spettacolo.

Dopotutto, come dice la profezia del visionario artista Andy Warhol «in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti», solo che ci si augura che questi ragazzi si sentano delle celebrità per molto più tempo – quantomeno più della durata media di un video di YouTube.

 

Articolo scritto da Valeria Di Lorenzo.

 

« Votami perché parlo (male) come te »: dal ‘politichese’ al ‘gentese’

« È uno schifo, siamo stufi! »: così esordisce (o conclude) il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, nella maggior parte dei suoi discorsi. Come lui, molti altri protagonisti dello scenario politico sono soliti utilizzare un registro linguistico di basso livello, fatto di termini volgari ed espressioni scurrili. A che scopo?, ci si domanda. 

Nel suo saggio, “Volgare eloquenza”, Giuseppe Antonelli analizza i cambiamenti rintracciabili nella lingua della politica (o “politichese”) dalla prima alla terza Repubblica. L’autore sostiene che alla base ci sia un intento ben preciso: far leva sul rispecchiamento degli elettori che si ritrovano in chi parla sgrammaticato, triviale e per luoghi comuni. Così, cita Antonelli, « nel momento stesso in cui si mitizza il popolo sovrano, in realtà lo si tratta come un popolo bue. » Eppure i destinatari sembrano apprezzare l’inedito “gentese” e il suo approccio lusinghiero, perché alimenta il loro narcisismo.

A chi si rivolge la comunicazione politica?

A proposito di destinatari, la comunicazione politica non si rivolge più a un preciso blocco sociale quanto al cosiddetto “italiano medio”: da qui la transizione dal politichese al sopracitato gentese, fatto di parole semplici e di concetti elementari, di parolacce, modi di dire ed espressioni dialettali. « Quel politico parla come me », deve pensare chi lo ascolta, « e io parlo come lui: dunque mi piace. »

Il passaggio dal paradigma della superiorità a quello del rispecchiamento ha portato con sé l’abbandono delle argomentazioni a favore delle emozioni. L’obiettivo è quello di « parlare alla pancia degli italiani », al loro istinto, ai loro sentimenti: il tutto attraverso la narrazione. Prendiamo una figura politica a caso, Renzi. Renzi non spiega, racconta. E racconta usando frasi brevi ed incisive, slogan d’impatto, aggettivi e giochi di parole che non richiedono un ampio background culturale. Spesso l’ex premier parla di una “rivoluzione”, che in realtà consiste nella banalizzazione della lingua e, di riflesso, della politica che comunica. Una politica che “va oltre”, al di là di ogni ideologia, e che predilige spiegare mediante una logica narrativa. 

Propaganda negativa

Un altro esempio, Beppe Grillo. I suoi discorsi sono impregnati di colloquialismi, dialetti vari, dell’uso rafforzativo di cazzo e nomignoli per riferirsi agli avversari politici. Quest’aggressività verbale ci introduce a un tema che toccherò solo trasversalmente, ed è quello della “propaganda negativa”: essa consiste nel denigrare l’avversario, azione che si riflette negativamente sull’emittente di comunicazione per quello che gli psicologi hanno chiamato “transfer of attitude recorsively”. Se parlo bene/male di qualcuno, la positività/negatività delle mie affermazioni si proietterà su di me.

Restando in tema, è bene menzionare un’altra recente scoperta degli studiosi ovvero che una discreta dose di aggressività (ben inteso nella comunicazione politica) porta gli elettori a credere che tutto sia ancora in gioco e che il loro voto sia determinante per l’esito delle elezioni. Questo li motiva a votare, cosa tutto fuorché scontata viste le alte percentuali di astensionismo, in Italia e non solo. 

Un voto ad oggi sempre più contaminato da aspetti personali e che prescindono dalla competenza del candidato. Questo a causa del crescente ruolo delle piattaforme social nell’instaurare un contatto diretto fra politico ed elettori: tale contatto favorisce il meccanismo di rispecchiamento sopracitato, ma soprattutto è reso possibile dalla “disintermediazione”.

Si tratta della graduale perdita d’importanza di quei corpi/organi chiamati a mediare la relazione fra politici e pubblico, il che ha un duplice risvolto: da un lato l’utente gode di un accesso diretto e costante alle informazioni; dall’altro il suo pensiero (tradotto in voto) è influenzato da aspetti legati alla vita privata del candidato più che alla sua credibilità. Ed è questa progressiva confidenza fra le due parti che provoca l’abbassamento del registro linguistico e l’impiego di espressioni volgari e sboccate.

È perciò evidente il circolo vizioso: il candidato influenza l’utente, l’utente influenza il candidato. Nel primo caso il risultato sta nell’accaparrarsi un voto, nel secondo sta nell’adottare un vocabolario rozzo e sgarbato. Come illustra chiaramente Antonelli, « Dal “Votami perché parlo meglio (e dunque ne so più) di te” si è passati al “Votami perché parlo (male) come te.” »

Articolo scritto da: Federica Macchetti

L’importanza di comunicare: Greta e #FridaysForFuture

Tutti siamo coscienti di quanto sia importante comunicare: in qualsiasi circostanza una giusta comunicazione sta alle base di un buon rapporto tra esseri umani. 
Ad oggi comunicare è parlare, scrivere, cantare, “dire”sia offline che , soprattutto, online.
Riguardo quest’ultima modalità, i Social Media rientrano nel modo più utilizzato ad oggi per comunicare online e restare aggiornati su ciò che accade intorno a noi.

Essi vengono usati con finalità più che disparate: fungono da lavoro per i nuovi influencer, da semplice messaggistica per le persone più comuni, o anche da propaganda politica.

.Quest’ultimo fine risulta una tecnica fortemente vincente e molto utilizzata: il presidente americano Donald Trump, ad esempio, ne fa un uso intenso e peculiare,  sviluppando una strategia digital first per comunicare e influenzare i suoi followers. Molti affermano anche che la sua vincente comunicazione tramite social gli abbia permesso di vincere le elezioni.

Chi è Greta Thunberg?

Oggi però, come ulteriore esempio di propaganda politica e di una vincente comunicazione vogliamo parlarvi di Greta Thunberg e della sua battaglia ambientale. 

Greta è un’adolescente svedese di 16 anni affetta dalla sindrome di Asperger, un disturbo dello sviluppo imparentato con l’autismo. Sin da bambina  è stata attratta da tematiche quali il riscaldamento climatico, l’inquinamento e quindi il futuro del paese in cui vive. Così, dal 20 agosto 2018 Greta ha deciso di saltare la scuola ogni venerdì per protestare di fronte al Riksdag, il parlamento svedese, con in mano il cartello “Skolstrejk för klimatet,” Sciopero scolastico per il clima.

A partire da quel giorno ha reso questa battaglia, fino ad allora personale e racchiusa nelle pareti della sua cameretta, un fenomeno mondiale che ad oggi riporta adesioni da tutte le parti del globo. Vi chiederete: com’è possibile che una ragazzina di 16 anni possa essere arrivata ad essere così rilevante a livello globale?

Eccovi la risposta: Greta è riuscita a far breccia nel cuore del giusto target utilizzando una modalità comunicativa corretta e vincente. Ciò ha permesso, soprattutto tramite Twitter, che tutto il mondo venisse a conoscenza della sua piccola battaglia, e che ognuno la sentisse propria.
Sin dal primo giorno nasce l’hashtag #FridaysForFuture, che rappresenta il giorno settimanale in cui è richiesta la partecipazione dei singoli in tutto il mondo per protestare contro il cambiamento climatico.

L’evoluzione del #FridaysForFuture

Greta pubblica giornalmente contenuti sui suoi profili Twitter e Instagram, ormai virali e gestiti da lei in prima persona. Ad oggi gli account presentano rispettivamente 555.000 e 1,4 milioni seguaci.

Da quello stesso giorno, vanno crescendo i sostenitori della vicenda che ogni venerdì, con Greta, scendono in piazza e manifestano tutti per la stessa causa. I numeri dei partecipanti alla protesta  del #FridaysForFuture sono disarmanti.

Allo sciopero globale del 15 marzo, proclamato da Greta,  hanno partecipato più di 1,6 milioni di persone distribuite in 131 Stati e in tutti e 5 i continenti.

Nella mappa sottostante trovate la reale diffusione mondiale della manifestazione del 15 marzo 2019, in cui sono segnate tutte le città che vi hanno partecipato:

Fonte: https://www.fridaysforfuture.org

Successivamente a quel giorno, i mass media si sono interessati maggiormente alla vicenda, assistendo alle dimensioni che essa sta assumendo. Parallelamente alla crescita della grandezza della protesta, anche la fama della piccola beniamina va aumentando: è stata nominata per il Nobel per la Pace. Inoltre Greta è già intervenuta due volte alla Cop24, la conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici, e, secondo il Time, è una dei 25 teenager più influenti al mondo.

L’evento si è ripetuto il 24 maggio ottenendo nuovamente grandissima adesione da tutte le parti del mondo e grande interesse da parte dei mass media.

Conclusioni

Dopo aver visto come un semplice video di 30 secondi di una ragazzina di 16 anni possa trasformarsi in una protesta mondiale, ci viene da pensare che questa generazione Z, nata involontariamente nel mondo digitale e quindi così radicata in esso, non sia senza speranza o senza valori come molti affermano.

Non è una generazione “asociale” perché eccessivamente attaccata ai Social Media: questa è la conferma di come la comunicazione e i Social non siano da prendere sotto gamba, di come un ideale combinato con una grande forza di volontà e un giusto modo di fare possa risultare vincente. 

I Social e la comunicazione sono il presente e saranno il futuro, quel futuro per cui Greta e i suoi seguaci lottano così tanto.  

 

Articolo scritto da Gabriella Lentini.

29 maggio 2019.

LA REGINA ELISABETTA: LA NUOVA “QUEEN” DI INSTAGRAM

Come riportato sul Corriere della Sera, la Famiglia Reale è alla ricerca di un social media manager. Questa figura si dovrà occupare dei contenuti da pubblicare sui social e sul sito per non far mai spegnere i riflettori puntati sulla Queen.

Anche noi di EDEMPG ci occupiamo di questo, infatti, rendiamo i social media e i siti dei nostri clienti performanti e adatti a ogni loro esigenza. 

Ora vi lasciamo all’articolo del Corriere della Sera, buona lettura. (clicca qui)

Articolo scritto da: Elisa Simonetti.

22 maggio 2019.

HopSkipDrive: Uber for kids makes parents happy.

HopSkipDrive

HopSkipDrive (www.hopskipdrive.com) is a ride service for children and family members. It is designed to help working parents with multiple kids facing every day different schedules. Family calendar can be overwhelming: this service tries to make parents’ life a little bit easier.  It provides an alternative to school bus transportation and it is also an easy way to send your children to after school activities and play dates. It is very similar to Uber but tailored for your kids’ needs.

HopSkipDrive was founded in California in 2016 by three moms, Joanna McFarland, Janelle McGlothin, and Carolyn Jashari Becher. Any parent asks himself: how can I be in more than one place at the same time? HopSkipDrive is the answer. Its goal is to help parents to get their kids where they need to be at the right time.

Car drivers have at least 5 years of caregiving experience and they have gone through a rigorous 15-points certification process including fingerprints collection and background checks. The company only employs female drivers: they are moms, teachers, or nannies. HopSkipDrive is dedicated to users between 7 and 17 years of age.

Parents can schedule rides right from the app 8 to 24 hours in advance. HopSkipDrive team monitors every ride in real time and parents too can track the ride directly from their smartphones. Eventually, parents receive notifications throughout the ride up to the destination point. It is very safe and it’s a moms’ idea!

We decided to right an article on this innovative idea because we believe it is key nowadays to read any consumer’s need and provide him with solutions. In EDEMPG we do face exactly the same needs when working for our clients. We love to believe that, somehow, they are our… kids.

 

Il packaging biologico: cromie e scelte grafiche

IL PACKAGING BIOLOGICO

Gli italiani sono da sempre amanti del buon mangiare. Negli ultimi anni poi, vi è maggior riguardo rispetto alla provenienza dei cibi che consumiamo. Si prediligono, quindi, prodotti sani e naturali. Questo è il motivo per cui il biologico è divenuto un vero e proprio trend ed è in continua espansione!

Ma partiamo dalle basi…

Cos’è un prodotto biologico?

Quando nei supermercati leggiamo “biologico” sulle confezioni dei prodotti non dobbiamo pensare che si tratti di un’ulteriore trovata pubblicitaria, al pari del “da oggi con i pallini blu” (ricorderete che fu pubblicizzata questa novità in un detersivo, dove, però, i pallini blu non aggiungevano niente al prodotto). Biologico è, infatti, una certificazione legale. Solo i prodotti che hanno un numero pari o maggiore al 95% degli ingredienti di derivazione biologica possono ottenere l’etichetta del biologico (per saperne di più clicca qui). Biologico è quindi un titolo che costa fatica. Tuttavia, sono in costante crescita i marchi presenti nella grande distribuzione alimentare che decidono di realizzare una linea di prodotti biologici.

Il packaging

La differenza fra un prodotto biologico e un prodotto non biologico è quindi nella tipologia e nella provenienza (o coltivazione) degli ingredienti. Una differenza visivamente non percepibile. Ciò che ci permette di distinguerli è il packaging, ovvero la confezione. Per scegliere quale prodotto acquistare un cliente impiega in media due secondi, tempo in cui a decidere per noi sono le emozioni più che dettagliate riflessioni. Per questo motivo, l’obiettivo primario del packaging è quello di suscitare emozioni e sensazioni tramite elementi grafici e sfumature cromatiche. I prodotti biologici devono attirare l’attenzione del compratore trasmettendo un messaggio ben preciso, motivo per cui il packaging della linea biologica è molto simile di marchio in marchio. Si usano principalmente tre colori:

VERDE

Per il packaging della linea di marmellate biologiche di Menz&Gasser, disegnato dal nostro team, abbiamo scelto una sfumatura di verde tendente al pastello. Il verde trasmette una sensazione di quiete, freschezza e richiama la natura. È quindi adatto per esaltare la natura vegetale, salutare e genuina del prodotto. La sfumatura tendente al pastello serve a rinforzare nel consumatore la percezione di un prodotto che ha origini biologiche  (per vedere i nostri lavori clicca qui).

 

BEIGE/MARRONE 

Vallelata per la linea di prodotti biologici mantiene la grafica della classica confezione, un prato verde che evoca la natura genuina del prodotto, aggiungendo uno sfondo sulle tonalità del marrone pastello.  Anche Scotti per la versione biologica dei cracker opta per una confezione con sfumature di questo colore. Esso, infatti, richiama direttamente la terra. Restituisce quindi l’idea di un prodotto semplice e autentico. 

GIALLO 

Oltre ai grandi marchi che operano nel settore dell’alimentazione, anche le grandi catene di supermercati hanno realizzato linee biologiche a marchio proprio. Ne è un esempio Esselunga, che per la propria linea biologica ha pensato a un packaging dal colore prevalentemente giallo. Quest’ultimo ricorda la luce del sole alludendo, quindi, a una coltivazione e lavorazione del prodotto che segue rigidi criteri che rispettano la rotazione dei terreni e l’assenza di utilizzo anticrittogamici e concimi chimici. 

CASO D’ECCEZIONE

Barilla per la propria linea di pasta biologica non rinuncia all’iconico blu, che da anni la distingue negli scaffali dei supermercati. In questo caso si tratta però di una tonalità di blu più chiara tendente al pastello, che richiama la naturalezza del prodotto. Inoltre sulla confezione è rappresentata una spiga di grano, simbolo che evoca la lavorazione e la coltivazione biologica del prodotto.

 

Il packaging è dunque l’anima del prodotto, quello strumento che racconta una storia creando un legame profondo con il consumatore. Nel caso dei prodotti biologici si tratta di una storia di naturalezza, genuinità e salute. Dunque se vuoi creare il packaging perfetto per la tua linea di prodotti biologici non esitare a contattarci!