INFLUENCER: LAVORO DA SOGNO?

Favij, Luis Sal, Chiara Ferragni, Clio Makeup, Humansafari…sono solo alcuni nomi dei numerosi “influencer” che ormai popolano il web e i social network. 

Ma cosa significa esattamente essere un influencer?

La parola è già di per sé significativa e potrebbe essere tradotta con il termine “influenzatore”. È infatti qualcuno le cui parole hanno un certo peso, una certa influenza, sulle persone (e sul mercato). Parole, ma anche post, storie, dirette: come ben sappiamo, oggi i social media assorbono la maggior parte della nostra quotidianità. Ed è proprio grazie a piattaforme come Instagram (instagramer), YouTube (youtubers e vloggers), Twitter e Facebook, ma anche attraverso blog personali, che gli influencer riescono a farsi conoscere e a raggiungere un pubblico anche molto vasto.

Possiamo quindi definire influencer un soggetto che:

  1. produce contenuti riguardanti un argomento specifico,
  2. è dotato di grande seguito,
  3. è capace di influenzare le opinioni degli altri e creare intorno a sé una comunità di persone attive che lo segua quotidianamente.

Ogni ambito ha il suo influencer

In realtà, sotto la parola influencer si trovano diverse sottocategorie, che vanno dal fashion al tech, dal travel al beauty, fino ad arrivare al fitness e al food. 

I food influencer, in particolare, oggi stanno avendo sempre più seguito, anche grazie al proliferarsi della food photography nel mondo social. Tuttavia, i primi blog di cucina risalgono al 2007-2009 e ciò pone l’accento su come i primi influenzatori siano stati proprio gli amanti della cucina e del cibo. Tra i più seguiti di questa categoria abbiamo: Chiara Maci (Chiara in Pentola), Sonia Peronaci (fondatrice di GialloZafferano) e Enrica Panariello (Chiarapassion), che ogni giorno arricchiscono le loro pagine e i loro blog con ricette gustose e fotografie di piatti invitanti.

Anche i travel influencer guadagnano ogni giorno migliaia di followers, grazie a fotografie e video di paesaggi mozzafiato, squarci di città e hotel da sogno, spesso realizzati tramite action cam, droni e macchine fotografiche avanzatissime. Che invidia, eh? In Italia, il più amato è Nicolò Balini, aka Humansafari, che a 28 anni è uno dei principali punti di riferimento degli amanti dei viaggi.

Una posizione di prestigio hanno poi i fashion influencer, che postano contenuti riguardanti moda, capi d’abbigliamento, accessori, sfilate ed eventi di settore. Non si può non conoscere Chiara Ferragni: prima influencer italiana, si è successivamente affermata come la migliore nel mondo e oggi ha più di 17 milioni di followers.

Abbiamo poi i tech influencer, appassionati di tecnologia, che si occupano di recensire e comparare prodotti per aiutare i consumatori nelle loro scelte. Spesso sperimentano le nuove tecnologie e ricevono in anteprima prodotti di ultima generazione, postando sui loro canali video di unboxing. Chi non si è affidato almeno una volta ai consigli di Salvatore Aranzulla o ai video di Andrea Galeazzi dedicati al mondo degli smartphone?

Notiamo poi come ogni giorno nuove figure decidano di condividere in rete la propria passione per il make up o per il mondo beauty in generale: sono i beauty influencer, il cui obiettivo è insegnare a valorizzare il proprio aspetto esteriore. Cristina Fogazzi, conosciuta come Estetistacinica, si è fatta apprezzare grazie a una buona dose di umorismo, unito a professionalità e sincerità. Altro nome importante è Patrick Simondac, alias Patrickstarrr, noto per essere stato il “primo uomo del make-up”.

Infine, per gli amanti del workout ci sono i fitness influencer, che elargiscono consigli per quanto riguarda sport, esercizi e corretta alimentazione. Seguitissima è Kyla_Itsines, soprattutto grazie al suo programma di allenamento intensivo Bikini Body Guide (BBG), che comprende una serie di esercizi e un piano alimentare sano. 

In conclusione

Sempre più brand si rivolgono agli influencer, inviando loro prodotti, che essi, dietro lauto compenso e se in linea con il loro stile, pubblicizzeranno poi nei loro post. Si va dalle cose più piccole (profumi, make up, prodotti alimentari), fino a oggetti più costosi (macchine fotografiche, droni, smartphone). 

Il termine tecnico di questa attività è product placement che, dopo il mondo del cinema, è approdato nell’uso quotidiano al di fuori del grande schermo. Oggi, nei post e/o nei video necessita di essere specificato con alcuni termini che ne sintetizzano lo status di “paid advertising”: “Paid partnership with…”, “Sponsorizzato da…” o l’hashtag #ad seguito dal nome del brand sponsorizzato. 

Il loro è un lavoro e una posizione che si sono costruiti nel tempo con grande tenacia e passione. Oggi, scorrendo le loro pagine e leggendo i loro introiti, siamo tutti affascinati dalla loro vita e spesso dimentichiamo che dietro tutto ciò ci sono ore di lavoro, scelte, sacrifici. Fare l’influencer significa inoltre mantenere un certo status, l’approvazione e la stima di chi ci segue, senza però perdere credibilità e mantenendo saldi i propri principi e le proprie convinzioni. Quindi, è davvero così facile il lavoro dell’influencer?

 

Articolo scritto da Giulia Bozzetti

Il codice a barre

Cos’è il codice a barre?

Il codice a barre GS1 è un linguaggio globale per identificare informazioni sui prodotti. Il barcode è stato inventato per ridurre gli errori e per garantire la tracciabilità dei prodotti, permette di risalire a informazioni fondamentali come la marca, il tipo di prodotto e il prezzo. Ogni giorno nel mondo vengono letti più di cinque miliardi di codici. 

Il barcode GS1 più diffuso è formato da una serie numerica di 13 cifre, graficamente è tradotta in barre verticali, con spazi bianchi e barre nere, solitamente posizionato sull’etichetta del prodotto.

Come leggere e ottenere il codice a barre

Le prime 9 cifre indicano l’azienda a livello internazionale, le 3 cifre successive identificano il codice del prodotto e l’ultimo numero è di controllo, calcolata tramite algoritmo. 

Per ottenere il codice a barre o EAN bisogna iscriversi al sito che consente di avere il codice e una volta iscritto si riceverà: 

– Un file Excel con 1000 codici EAN univoci e autentici di 13 cifre

– Il numero d’identificazione dell’azienda valida nel mondo 

– Le credenziali per l’area privata nella quale registrare i prodotti e scaricare l’immagine grafica dei barcode EAN

I costi per ottenere i codici variano secondo il fatturato dell’azienda.

Il codice a barre può avere diverse grandezze:

  • Minime
  • Normali
  • Massime 

I colori del barcode possono variare, devono essere sempre scuri con sfondo bianco o rossastro, l’importante è che sia sempre leggibile. 

La storia del codice a barre:

Il 3 Aprile del 1973 i manager americani, Bernard Silver e Norman Joseph Woodland, sollecitati da un direttore di un supermercato decisero di utilizzare un codice comune che permettesse di identificare i prodotti. L’idea arrivò in spiaggia, Woodland inizia a disegnare sulla sabbia dei punti e delle linee orizzontali, prese dal codice Morse. Ovviamente da questo disegno non ne seguì subito il codice a barre che conosciamo oggi; prima si pensava che fosse meglio un disegno con cerchi concentrici, la leggibilità era migliore, ma alla fine ha vinto l’idea delle barre verticali. 

Il primo “beep” nella storia fu il 26 Giugno del 1974.

Il codice a barre è stato una delle più grandi invenzioni, grazie ad esso è possibile capire quanti e quali prodotti vengono acquistati; in questo modo si può affiliare il cliente e capire quindi le sue esigenze. 

Immaginiamo per un momento un mondo senza codici a barre GS1. Quanto sarebbero lunghe le code alle casse dei supermercati? Quanto sarebbe frustrante per i consumatori? Basta pensare a cosa succederebbe se per un solo giorno, al supermercato, gli scanner alle casse non funzionassero e gli addetti dovessero digitare a mano i numeri presenti sui barcode di ogni prodotto della spesa dei clienti.

 cit. Miguel Lopera, presidente e ceo GS1

FONTE: https://gs1it.org

Articolo scritto da: Elisa Simonetti

 

La “nuova ludicità”: quando gioco è sinonimo di lavoro

Se dico “ludico” a voi cosa viene in mente? 

Divertimento, svago, passatempo, immagino a grandi linee. Invece no. 

Oggi il ludico investe e pervade il quotidiano, ne è persino una chiave di lettura. Esso assume anche le caratteristiche del lavoro tanto che si parla di “sovrapposizione di tempi e spazi del gioco a tempi e spazi del lavoro”. Ma andiamo per gradi. 

“Nuova ludicità”

Peppino Ortoleva illustra un concetto chiave di quella che definisce “nuova ludicità”: il “semi-ludico”, prodotto della fusione di lavoro e tempo libero. Concetto che comporta la rinuncia all’idea di gioco come attività esclusivamente infantile. Perché? Perché come il lavoro anche il gioco richiede impegno, pone degli obiettivi e prevede ricompense per chi li raggiunge e penalità per chi trasgredisce le regole. A proposito di regole, nel gioco l’utente aderisce alle norme, le dinamiche e i valori che governano lo spazio d’azione; prende le distanze dalla realtà e sperimenta ruoli diversi. Più precisamente diremo che assume punti di vista “in sicurezza”, ad esempio può calarsi nelle vesti di un paracadutista e immaginare l’ebrezza di vagare nel vuoto senza il minimo rischio. In questo senso si attribuisce al gioco una “capacità simulativa”, dal momento in cui funge da palestra di vita. 

Inizialmente ho menzionato l’idea di giustapposizione di tempi e spazi del gioco a tempi e spazi del lavoro: pensiamo a quando apriamo e chiudiamo nei nostri computer delle finestre di gioco, così tecnologizzando le pause e i tempi morti. A ben rifletterci ci accorgiamo che molti oggetti ludici sono disegnati proprio per soddisfare esigenze di svago circoscritte e modulari, eppure finiscono per istituire nuovi spazi di gioco. Per non parlare del percorso inverso, cioè di quando il gioco si fa lavoro: ormai è prassi servirsi dei non-tempi (attesa del treno, viaggio, post pranzo/pre cena) per messaggiare, telefonare, inviare email, giocare ai videogame e tanto altro. Negandoci il riposo e applicandoci in attività mentali con costanza e dedizione, diamo un che di lavorativo a ciò che dovrebbe essere mero intrattenimento.  

Il tutto ha un’evidente implicazione, ossia l’attiva partecipazione dell’utente che non si esaurisce nella semplice fruizione del prodotto mediale ma si estende alla negoziazione delle regole di gioco. In altri termini non solo l’utente gioca, ma giocando reinterpreta le regole di gioco e ne modifica la struttura.

Un esempio:

Avete mai sentito parlare o avuto a che fare con un librogame? Per chi non vi fosse familiare, il gamebook è un libro stampato diviso in paragrafi molto brevi; al termine di ognuno il lettore/giocatore deve compiere una scelta e affrontare una prova; in base all’esito di questo momento interattivo la lettura proseguirà in un paragrafo o nell’altro, ergo gli esiti potenziali della storia sono molteplici.

La scelta del percorso di lettura, quindi, non solo determina l’interattività del prodotto mediale ma consente all’utente di alterarne la struttura indipendentemente dal volere dell’autore, la cui posizione si fa sempre più nebulosa. Da questo capiamo che un simile oggetto ibrido fornisce un’esperienza più ludica che letteraria sfruttando un supporto tradizionale qual è il libro stampato; inoltre capiamo, o meglio, confermiamo che ad oggi la situazione ludica è qualcosa di completamente negoziabile, con dei confini modulabili, e questa “negoziabilità” si deve al continuo emergere di nuove tipologie di gioco.

La ludicità non si può circoscrivere perché è un processo, una disposizione nei confronti delle cose: “ludicizzazione” non significa costruire delle cose ludiche, ma indurre dei processi ludici nel consumatore. Un consumatore che non solo fruisce ma costruisce contenuti: il cosiddetto “prosumer”.

Articolo scritto da: Federica Macchetti.

Gli YouTuber, le webstar che hanno fatto della passione una professione

 “E tu, cosa vuoi fare da grande?”

Il quesito da mille milioni di dollari, capace di innescare una profonda autoriflessione a cui nemmeno Freud sarebbe riuscito a portarvi.

Fino a non troppo tempo fa, quali sono state le professioni più ambite, quelle su cui fantasticare la notte prima di dormire? Probabilmente il dottore per il bambino ambizioso, l’artista per quello creativo, l’astronauta per quello romantico. Oggi, però, se provassimo a rivolgere questo interrogativo ai giovanissimi, molti risponderebbero candidamente “lo voglio diventare uno YouTuber”. Prima di cercare su Wikipedia il significato dell’astruso inglesismo, vediamo di fare chiarezza su questo fenomeno che ormai ha raggiunto una portata globale.

Professione YouTuber, le caratteristiche:

Partiamo dall’inizio. YouTube è una piattaforma web che consente di caricare, condividere e visualizzare video online. Lo YouTuber è chiunque produca dei video e li carica nella piattaforma.

Per diventare tale i prerequisiti di base non sono complessi da raggiungere: basta infatti essere in possesso di una telecamera, una connessione ad internet ed avere qualcosa di interessante di cui parlare o da insegnare. Coloro che da questa piattaforma hanno acquisito un discreto successo di pubblico e sono riusciti a fidelizzare la propria audience sono diventati cosiddetti influencer. Si tratta di un fenomeno impressionate se si considera la vastità del bacino d’utenza che questi ragazzi possono raggiungere. Solamente in Italia ad oggi si contano ventuno milioni di utenti, di cui il 39% ha un’età compresa tra i 18 e 34 anni.

Oggi quella dello YouTuber è non solo una passione ma una possibile professione, in un social network mondiale dove ogni minuto si caricano oltre 400 ore di video.

Dai video amatoriali… 

Veniamo ora ad analizzare più approfonditamente la questione.

Probabilmente il segreto del successo di uno YouTuber, innanzitutto, è la sua costante narrativizzazione della propria vita in maniera innovativa. Video dopo video, infatti, egli costruisce la storytelling dell’identità del personaggio che decide di interpretare. Nonostante su YouTube sia impossibile avere un rapporto diretto come quello in presenza, l’immediatezza che si riesce a trasmettere cattura l’attenzione della cosiddetta Generazione Z, che consuma questi prodotti audiovisivi in una cameretta identica a quella in cui gli YouTubers si truccano, giocano ai videogiochi, parlano della loro giornata. Come risultato, la freschezza delle modalità espressive riesce a coinvolgere il pubblico come pochi altri mezzi di comunicazione sono riusciti a fare.

… alla monetizzazione

È proprio l’interazione che si genera tra creator e iscritti a decretare l’ammontare del guadagno di ciascun canale. Maggiore è il numero di “mi piace” e commenti dell’utenza, maggiore sarà il numero di visualizzazioni totalizzate per ciascun video. A quel punto lo YouTuber può monetizzare le proprie produzioni originali tramite inserzioni pubblicitarie, dunque è pronto a riceverne i profitti. YouTube monetizza i contenuti dei suoi YouTuber tramite il CPM, ossia il costo per mille visualizzazioni o impression di un video. La cifra raggiunta corrisponde alla somma di denaro che gli sponsor danno a YouTube per visualizzare le loro pubblicità ogni 1000 video.

Per rendere questi complessi meccanismi il proprio pane quotidiano bisogna raggiungere livelli altissimi di popolarità, cosa che accade più difficilmente di quanto si pensi. Si tratta di una vera e propria giungla, soprattutto perché numerose ricerche dimostrano come il panorama sia estremamente polarizzato verso alcune grandi personalità. Comunque, il fatto che il numero di YouTubers professionisti è in costante crescita, fa ben sperare ai giovanissimi con cui si è aperto questo articolo.

Il caso PewDiePie, la webstar con numeri da capogiro

Ognuno di noi sarebbe disposto a mettere la mano sul fuoco sul fatto che purtroppo nella realtà le bacchette magiche non esistono, ma ogni certezza si sgretola di fronte al canale di questo ragazzo svedese, PewDiePie per gli amici virtuali. Alcune stime riportano che gli introiti annuali grazie al suo lavoro online ammontino a 11 milioni di dollari: non avete avuto un mancamento leggendo questa cifra?

Per la cerchia di amici più ristretti il suo vero nome è Felix Kjellberg, e con quasi 100 milioni di iscritti e più di 21 miliardi di visualizzazioni complessive dei suoi video è il più famoso YouTuber al mondo. L’audience da record gli ha permesso di firmare un contratto con la casa produttrice Maker Studios, di proprietà della Disney, ma il sogno si è infranto quando tra gli show prodotti dal ventisettenne sono apparsi almeno nove video antisemiti. Nonostante questi gravi avvenimenti, la sua fama da divo della piattaforma non accenna ad esaurirsi. A questo punto, una domanda sorge spontanea: quale tutorial avrà seguito step by step per diventare uno YouTuber così di successo?

Il caso YouTube Italia: lo “sconfinamento” nei media tradizionali e nuovi produttori del sistema

Spostandoci infine nel nostro paese, è interessante prendere in considerazione le riflessioni di Andrea Amato e Matteo Maffucci, autori del recente libro “Rivoluzione YouTuber”. Il volume si concentra sull’analisi di un fenomeno molto particolare, cioè il fatto che diversi YouTubers che un tempo furono i pionieri italiani della piattaforma, oggi siano approdati all’utilizzo di media per così dire tradizionali. Ad esempio Willwoosh, al secolo Guglielmo Scilla, che ha lavorato in televisione, radio e scritto libri; Frank Matano, che è stato conduttore de “Le Iene” e giudice in “Italia’s got Talent”; FaviJ TV, gamer che è stato anche protagonista di una pellicola cinematografica.

A quanto pare, a dispetto della popolarità online, i veri big di YouTube Italia si sentono probabilmente in dovere di “legittimare” in qualche modo il loro successo ottenuto con mezzi “anticonvenzionali” tramite i media più classici, dal libro alla scatola televisiva. Tutto ciò può realizzarsi grazie a nuove personalità, a cui Amato e Maffucci hanno dedicato parte delle pagine, ovvero veri cacciatori di talenti che diventano produttori del sistema: Francesco Facchinetti, Eugenio Scotto e  Luciano Massa, ad esempio, pur venendo da esperienze diverse hanno saputo selezionare giovani promesse all’interno del panorama online e a fare di esse i nuovi volti del futuro. Il loro compito è quello di guidare i migliori verso una maturità professionale e una carriera promettente, fino a ridisegnare il rapporto tra media, creators e casa di produzione, dunque i meccanismi di funzionamento interni dell’Industria YouTube.

Conclusioni

Nonostante trasformare la passione in una professione remunerativa sia un percorso in salita, la portata del fenomeno YouTubers in termini di valore economico è sicuramente indicativa di quanto ormai tutto ciò rappresenti il mondo del futuro. La nuova generazione continua a cercare la notorietà tramite l’intrattenimento prendendo a modello quelle webstar di caratura internazionale, e non, che oggi ci sembrano i detentori del futuro della comunicazione e, a quanto pare, anche dello spettacolo.

Dopotutto, come dice la profezia del visionario artista Andy Warhol «in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti», solo che ci si augura che questi ragazzi si sentano delle celebrità per molto più tempo – quantomeno più della durata media di un video di YouTube.

 

Articolo scritto da Valeria Di Lorenzo.

 

« Votami perché parlo (male) come te »: dal ‘politichese’ al ‘gentese’

« È uno schifo, siamo stufi! »: così esordisce (o conclude) il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, nella maggior parte dei suoi discorsi. Come lui, molti altri protagonisti dello scenario politico sono soliti utilizzare un registro linguistico di basso livello, fatto di termini volgari ed espressioni scurrili. A che scopo?, ci si domanda. 

Nel suo saggio, “Volgare eloquenza”, Giuseppe Antonelli analizza i cambiamenti rintracciabili nella lingua della politica (o “politichese”) dalla prima alla terza Repubblica. L’autore sostiene che alla base ci sia un intento ben preciso: far leva sul rispecchiamento degli elettori che si ritrovano in chi parla sgrammaticato, triviale e per luoghi comuni. Così, cita Antonelli, « nel momento stesso in cui si mitizza il popolo sovrano, in realtà lo si tratta come un popolo bue. » Eppure i destinatari sembrano apprezzare l’inedito “gentese” e il suo approccio lusinghiero, perché alimenta il loro narcisismo.

A chi si rivolge la comunicazione politica?

A proposito di destinatari, la comunicazione politica non si rivolge più a un preciso blocco sociale quanto al cosiddetto “italiano medio”: da qui la transizione dal politichese al sopracitato gentese, fatto di parole semplici e di concetti elementari, di parolacce, modi di dire ed espressioni dialettali. « Quel politico parla come me », deve pensare chi lo ascolta, « e io parlo come lui: dunque mi piace. »

Il passaggio dal paradigma della superiorità a quello del rispecchiamento ha portato con sé l’abbandono delle argomentazioni a favore delle emozioni. L’obiettivo è quello di « parlare alla pancia degli italiani », al loro istinto, ai loro sentimenti: il tutto attraverso la narrazione. Prendiamo una figura politica a caso, Renzi. Renzi non spiega, racconta. E racconta usando frasi brevi ed incisive, slogan d’impatto, aggettivi e giochi di parole che non richiedono un ampio background culturale. Spesso l’ex premier parla di una “rivoluzione”, che in realtà consiste nella banalizzazione della lingua e, di riflesso, della politica che comunica. Una politica che “va oltre”, al di là di ogni ideologia, e che predilige spiegare mediante una logica narrativa. 

Propaganda negativa

Un altro esempio, Beppe Grillo. I suoi discorsi sono impregnati di colloquialismi, dialetti vari, dell’uso rafforzativo di cazzo e nomignoli per riferirsi agli avversari politici. Quest’aggressività verbale ci introduce a un tema che toccherò solo trasversalmente, ed è quello della “propaganda negativa”: essa consiste nel denigrare l’avversario, azione che si riflette negativamente sull’emittente di comunicazione per quello che gli psicologi hanno chiamato “transfer of attitude recorsively”. Se parlo bene/male di qualcuno, la positività/negatività delle mie affermazioni si proietterà su di me.

Restando in tema, è bene menzionare un’altra recente scoperta degli studiosi ovvero che una discreta dose di aggressività (ben inteso nella comunicazione politica) porta gli elettori a credere che tutto sia ancora in gioco e che il loro voto sia determinante per l’esito delle elezioni. Questo li motiva a votare, cosa tutto fuorché scontata viste le alte percentuali di astensionismo, in Italia e non solo. 

Un voto ad oggi sempre più contaminato da aspetti personali e che prescindono dalla competenza del candidato. Questo a causa del crescente ruolo delle piattaforme social nell’instaurare un contatto diretto fra politico ed elettori: tale contatto favorisce il meccanismo di rispecchiamento sopracitato, ma soprattutto è reso possibile dalla “disintermediazione”.

Si tratta della graduale perdita d’importanza di quei corpi/organi chiamati a mediare la relazione fra politici e pubblico, il che ha un duplice risvolto: da un lato l’utente gode di un accesso diretto e costante alle informazioni; dall’altro il suo pensiero (tradotto in voto) è influenzato da aspetti legati alla vita privata del candidato più che alla sua credibilità. Ed è questa progressiva confidenza fra le due parti che provoca l’abbassamento del registro linguistico e l’impiego di espressioni volgari e sboccate.

È perciò evidente il circolo vizioso: il candidato influenza l’utente, l’utente influenza il candidato. Nel primo caso il risultato sta nell’accaparrarsi un voto, nel secondo sta nell’adottare un vocabolario rozzo e sgarbato. Come illustra chiaramente Antonelli, « Dal “Votami perché parlo meglio (e dunque ne so più) di te” si è passati al “Votami perché parlo (male) come te.” »

Articolo scritto da: Federica Macchetti

L’importanza di comunicare: Greta e #FridaysForFuture

Tutti siamo coscienti di quanto sia importante comunicare: in qualsiasi circostanza una giusta comunicazione sta alle base di un buon rapporto tra esseri umani. 
Ad oggi comunicare è parlare, scrivere, cantare, “dire”sia offline che , soprattutto, online.
Riguardo quest’ultima modalità, i Social Media rientrano nel modo più utilizzato ad oggi per comunicare online e restare aggiornati su ciò che accade intorno a noi.

Essi vengono usati con finalità più che disparate: fungono da lavoro per i nuovi influencer, da semplice messaggistica per le persone più comuni, o anche da propaganda politica.

.Quest’ultimo fine risulta una tecnica fortemente vincente e molto utilizzata: il presidente americano Donald Trump, ad esempio, ne fa un uso intenso e peculiare,  sviluppando una strategia digital first per comunicare e influenzare i suoi followers. Molti affermano anche che la sua vincente comunicazione tramite social gli abbia permesso di vincere le elezioni.

Chi è Greta Thunberg?

Oggi però, come ulteriore esempio di propaganda politica e di una vincente comunicazione vogliamo parlarvi di Greta Thunberg e della sua battaglia ambientale. 

Greta è un’adolescente svedese di 16 anni affetta dalla sindrome di Asperger, un disturbo dello sviluppo imparentato con l’autismo. Sin da bambina  è stata attratta da tematiche quali il riscaldamento climatico, l’inquinamento e quindi il futuro del paese in cui vive. Così, dal 20 agosto 2018 Greta ha deciso di saltare la scuola ogni venerdì per protestare di fronte al Riksdag, il parlamento svedese, con in mano il cartello “Skolstrejk för klimatet,” Sciopero scolastico per il clima.

A partire da quel giorno ha reso questa battaglia, fino ad allora personale e racchiusa nelle pareti della sua cameretta, un fenomeno mondiale che ad oggi riporta adesioni da tutte le parti del globo. Vi chiederete: com’è possibile che una ragazzina di 16 anni possa essere arrivata ad essere così rilevante a livello globale?

Eccovi la risposta: Greta è riuscita a far breccia nel cuore del giusto target utilizzando una modalità comunicativa corretta e vincente. Ciò ha permesso, soprattutto tramite Twitter, che tutto il mondo venisse a conoscenza della sua piccola battaglia, e che ognuno la sentisse propria.
Sin dal primo giorno nasce l’hashtag #FridaysForFuture, che rappresenta il giorno settimanale in cui è richiesta la partecipazione dei singoli in tutto il mondo per protestare contro il cambiamento climatico.

L’evoluzione del #FridaysForFuture

Greta pubblica giornalmente contenuti sui suoi profili Twitter e Instagram, ormai virali e gestiti da lei in prima persona. Ad oggi gli account presentano rispettivamente 555.000 e 1,4 milioni seguaci.

Da quello stesso giorno, vanno crescendo i sostenitori della vicenda che ogni venerdì, con Greta, scendono in piazza e manifestano tutti per la stessa causa. I numeri dei partecipanti alla protesta  del #FridaysForFuture sono disarmanti.

Allo sciopero globale del 15 marzo, proclamato da Greta,  hanno partecipato più di 1,6 milioni di persone distribuite in 131 Stati e in tutti e 5 i continenti.

Nella mappa sottostante trovate la reale diffusione mondiale della manifestazione del 15 marzo 2019, in cui sono segnate tutte le città che vi hanno partecipato:

Fonte: https://www.fridaysforfuture.org

Successivamente a quel giorno, i mass media si sono interessati maggiormente alla vicenda, assistendo alle dimensioni che essa sta assumendo. Parallelamente alla crescita della grandezza della protesta, anche la fama della piccola beniamina va aumentando: è stata nominata per il Nobel per la Pace. Inoltre Greta è già intervenuta due volte alla Cop24, la conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici, e, secondo il Time, è una dei 25 teenager più influenti al mondo.

L’evento si è ripetuto il 24 maggio ottenendo nuovamente grandissima adesione da tutte le parti del mondo e grande interesse da parte dei mass media.

Conclusioni

Dopo aver visto come un semplice video di 30 secondi di una ragazzina di 16 anni possa trasformarsi in una protesta mondiale, ci viene da pensare che questa generazione Z, nata involontariamente nel mondo digitale e quindi così radicata in esso, non sia senza speranza o senza valori come molti affermano.

Non è una generazione “asociale” perché eccessivamente attaccata ai Social Media: questa è la conferma di come la comunicazione e i Social non siano da prendere sotto gamba, di come un ideale combinato con una grande forza di volontà e un giusto modo di fare possa risultare vincente. 

I Social e la comunicazione sono il presente e saranno il futuro, quel futuro per cui Greta e i suoi seguaci lottano così tanto.  

 

Articolo scritto da Gabriella Lentini.

29 maggio 2019.

LA REGINA ELISABETTA: LA NUOVA “QUEEN” DI INSTAGRAM

Come riportato sul Corriere della Sera, la Famiglia Reale è alla ricerca di un social media manager. Questa figura si dovrà occupare dei contenuti da pubblicare sui social e sul sito per non far mai spegnere i riflettori puntati sulla Queen.

Anche noi di EDEMPG ci occupiamo di questo, infatti, rendiamo i social media e i siti dei nostri clienti performanti e adatti a ogni loro esigenza. 

Ora vi lasciamo all’articolo del Corriere della Sera, buona lettura. (clicca qui)

Articolo scritto da: Elisa Simonetti.

22 maggio 2019.

Il packaging biologico: cromie e scelte grafiche

IL PACKAGING BIOLOGICO

Gli italiani sono da sempre amanti del buon mangiare. Negli ultimi anni poi, vi è maggior riguardo rispetto alla provenienza dei cibi che consumiamo. Si prediligono, quindi, prodotti sani e naturali. Questo è il motivo per cui il biologico è divenuto un vero e proprio trend ed è in continua espansione!

Ma partiamo dalle basi…

Cos’è un prodotto biologico?

Quando nei supermercati leggiamo “biologico” sulle confezioni dei prodotti non dobbiamo pensare che si tratti di un’ulteriore trovata pubblicitaria, al pari del “da oggi con i pallini blu” (ricorderete che fu pubblicizzata questa novità in un detersivo, dove, però, i pallini blu non aggiungevano niente al prodotto). Biologico è, infatti, una certificazione legale. Solo i prodotti che hanno un numero pari o maggiore al 95% degli ingredienti di derivazione biologica possono ottenere l’etichetta del biologico (per saperne di più clicca qui). Biologico è quindi un titolo che costa fatica. Tuttavia, sono in costante crescita i marchi presenti nella grande distribuzione alimentare che decidono di realizzare una linea di prodotti biologici.

Il packaging

La differenza fra un prodotto biologico e un prodotto non biologico è quindi nella tipologia e nella provenienza (o coltivazione) degli ingredienti. Una differenza visivamente non percepibile. Ciò che ci permette di distinguerli è il packaging, ovvero la confezione. Per scegliere quale prodotto acquistare un cliente impiega in media due secondi, tempo in cui a decidere per noi sono le emozioni più che dettagliate riflessioni. Per questo motivo, l’obiettivo primario del packaging è quello di suscitare emozioni e sensazioni tramite elementi grafici e sfumature cromatiche. I prodotti biologici devono attirare l’attenzione del compratore trasmettendo un messaggio ben preciso, motivo per cui il packaging della linea biologica è molto simile di marchio in marchio. Si usano principalmente tre colori:

VERDE

Per il packaging della linea di marmellate biologiche di Menz&Gasser, disegnato dal nostro team, abbiamo scelto una sfumatura di verde tendente al pastello. Il verde trasmette una sensazione di quiete, freschezza e richiama la natura. È quindi adatto per esaltare la natura vegetale, salutare e genuina del prodotto. La sfumatura tendente al pastello serve a rinforzare nel consumatore la percezione di un prodotto che ha origini biologiche  (per vedere i nostri lavori clicca qui).

 

BEIGE/MARRONE 

Vallelata per la linea di prodotti biologici mantiene la grafica della classica confezione, un prato verde che evoca la natura genuina del prodotto, aggiungendo uno sfondo sulle tonalità del marrone pastello.  Anche Scotti per la versione biologica dei cracker opta per una confezione con sfumature di questo colore. Esso, infatti, richiama direttamente la terra. Restituisce quindi l’idea di un prodotto semplice e autentico. 

GIALLO 

Oltre ai grandi marchi che operano nel settore dell’alimentazione, anche le grandi catene di supermercati hanno realizzato linee biologiche a marchio proprio. Ne è un esempio Esselunga, che per la propria linea biologica ha pensato a un packaging dal colore prevalentemente giallo. Quest’ultimo ricorda la luce del sole alludendo, quindi, a una coltivazione e lavorazione del prodotto che segue rigidi criteri che rispettano la rotazione dei terreni e l’assenza di utilizzo anticrittogamici e concimi chimici. 

CASO D’ECCEZIONE

Barilla per la propria linea di pasta biologica non rinuncia all’iconico blu, che da anni la distingue negli scaffali dei supermercati. In questo caso si tratta però di una tonalità di blu più chiara tendente al pastello, che richiama la naturalezza del prodotto. Inoltre sulla confezione è rappresentata una spiga di grano, simbolo che evoca la lavorazione e la coltivazione biologica del prodotto.

 

Il packaging è dunque l’anima del prodotto, quello strumento che racconta una storia creando un legame profondo con il consumatore. Nel caso dei prodotti biologici si tratta di una storia di naturalezza, genuinità e salute. Dunque se vuoi creare il packaging perfetto per la tua linea di prodotti biologici non esitare a contattarci!

PRODUCT PLACEMENT: il marketing intelligente

Product placement

Come ci dice il GlossarioMarketing il product placement è: «una forma di comunicazione in cui i prodotti di marca vengono posizionati in modo apparentemente naturale in una struttura narrativa pre-esistente (film, programma televisivo, video musicale, spot pubblicitario relativo a un altro prodotto, ecc.) in cambio di un corrispettivo monetario (production fee)». In poche parole, si tratta della comparsa di prodotti (spesso molto noti) all’interno dei nostri programmi e film preferiti. Una strategia di marketing che può apparire banale ma che è in realtà estremamente efficace nel garantire visibilità al marchio.

Il product placement e i problemi con la legge

Sebbene oggi sia una delle strategie di marketing più utilizzate dai grandi marchi, il product placement (o pubblicità indiretta) non ha sempre avuto vita facile. Fino al 2004 la legge italiana vietava qualsiasi forma di pubblicità indiretta e occulta. D’altra parte, se si considera il background storico, tutto il ventesimo secolo e i primi anni del ventunesimo, sono stati caratterizzati da una paura patologica delle tecniche persuasive: in particolare media come la tv o il cinema erano considerati strumenti di manipolazione mentale. Con l’avvento dei media digitali si ha una svolta culturale. Oggi siamo infatti pervasi di inserzioni e messaggi pubblicitari e la maggior parte delle volte non ce ne rendiamo nemmeno conto. Grazie, quindi, ad una mentalità più aperta nel 2004 è stato approvato il decreto Urbani, che legalizza la pubblicità indiretta, pur sempre stabilendo rigide regole. Il prodotto inserito all’interno delle trasmissioni o dei film deve apparire chiaramente ed essere assolutamente riconoscibile. Inoltre, non deve interrompere la continuità della narrazione ma integrarsi ed essere coerente con essa.

Le modalità di product placement

Il product placement si presenta nei format televisivi e cinematografici principalmente secondo due modalità: screen placement, ovvero la rappresentazione visiva del prodotto e script placement, la citazione verbale del prodotto. Tuttavia, il product placement può avere diverse finalità. Vediamo alcuni esempi.

PRODUCT PLACEMENT: QUANDO È SEMPLICE PUBBLICITÀ

In questo caso vi sono spesso primi piani del prodotto, ma esso non ha una funzionalità essenziale nella struttura narrativa. Un esempio lo troviamo nell’iconico film “Mamma ho perso l’aereo”. Nella seguente scena vediamo il fratellino di Kevin (il protagonista) afferrare e bere un’enorme lattina di Pepsi. Marchio e confezione sono inconfondibili. Tuttavia, la bevanda non ha un’importanza a livello narrativo: se ci fosse stato qualsiasi altro marchio di bibite non avrebbe fatto alcuna differenza. L’intento principale è quello di stimolare lo spettatore ad avere sete e quindi consumare bevande. Il rischio è che il pubblico possa essere effettivamente indotto a bere, ma non la bibita sponsorizzata all’interno del film.

In questo caso l’inserimento del prodotto ha un fine puramente pubblicitario.

 

QUANDO IL MARCHIO INTERAGISCE CON LA STRUTTURA NARRATIVA

Nel caso seguente il marchio interagisce e crea un legame con i protagonisti del format cinematografico/televisivo. Diviene emblema di uno stile di vita, di determinati valori o ha finalità di contestualizzazione.

Per chiarire il concetto abbiamo preso come esempio una delle serie televisive più famose negli ultimi tempi: Stranger Things. In questa scena Undici, una ragazzina dalle straordinarie abilità, prova i suoi poteri schiacciando una lattina di Coca Cola con la sola forza del pensiero. In questo caso la scelta della bibita non è casuale. Infatti, Stranger Things è una serie ambientata negli anni 80 e la lattina che appare nella scena presenta l’iconica confezione di quegli anni.

Si tratta quindi di un prodotto usato con la finalità di contestualizzare il periodo in cui si svolge la vicenda.

Un secondo esempio lo ritroviamo nell’acclamata serie televisiva Sex and the City, divenuta anche saga cinematografica. Sia nei film che nella serie vi è un elemento costante, che non passa certamente inosservato: Starbucks. Le scene in cui possiamo osservare le protagoniste, in particolare Carrie Bradshaw (Sarah Jessica Parker), trascorrere del tempo in una delle caffetterie o sorseggiare una tazza di caffè Starbucks sono innumerevoli. Le protagoniste di Sex and the City sono personaggi femminili forti, che gestiscono i loro affari e vestono alla moda, quindi la catena americana diviene indirettamente emblema di questa femminilità caratteristica del ventunesimo secolo. Nella seguente scena i registi hanno deciso di sacrificare la logica della ripresa per poter porre ulteriormente in evidenza il marchio Starbucks. Infatti nella prima ripresa il bicchiere è posizionato centralmente di fronte alla protagonista, mentre nella seconda appare sull’angolo del tavolo, esattamente nel punto in cui la cinepresa zuma per mostrarci le curiose scarpe del signore.

PRODUCT PLACEMENT INTEGRATO

Nel product placement integrato il prodotto o marchio è parte integrante della trama. Vi sono casi in cui il prodotto appare persino nel titolo del film, come ad esempio ne “Il diavolo veste Prada” o nel cult movie “Colazione da Tiffany”. Questa tipologia di product placement è possibile solo nei casi in cui vi siano grandi collaborazioni fra prodotto cinematografico e aziende.

Product Placement negli show televisivi

La pubblicità indiretta assume un importante ruolo anche all’interno degli show televisivi, in particolare in quelli di cucina. Mostrare chef stellati o abili cuochi utilizzare i prodotti che tutti i giorni compriamo e troviamo al supermercato aumenta notevolmente la reputazione del prodotto, il quale si accosta a concetti come l’alta cucina e “il fatto in casa”. Un esempio fra i tanti è indubbiamente quello di Bake Off Italia, un programma dove i concorrenti sono aspiranti pasticceri che si sfidano a suon di dolci. Durante lo show sono numerosissimi i prodotti che i concorrenti utilizzano e fra questi vi è l’inconfondibile farina Barilla.

Il product placement è dunque una tecnica di marketing estremamente efficace e persuasiva. Tuttavia, posizionare il proprio prodotto sui media televisivi e cinematografici non è così semplice, ma con EDEMPG tutto è possibile! La nostra agenzia si è già occupata in passato, e continua ad occuparsi, di servizi di product placement, dunque se siete interessati non vi rimane che contattarci.

 

Natale = Limited Edition

Natale

Freddo glaciale, città illuminate, bacche rosse e fili d’or. Il Natale è da sempre il momento più atteso dell’anno, non solo dai bambini, ma anche dalle aziende che per l’occasione si sfidano a colpi di limited edition e capsule collection. Vi avevamo già parlato della strategia dell’edizione limitata in occasione del novantesimo anniversario di Topolino. Oggi riprendiamo l’argomento per illustrarvi quali sono i vantaggi di questa preziosa carta vincente, soprattutto sotto il periodo natalizio.

Perché realizzare una limited edition natalizia

Negli ultimi anni la realizzazione di limited edition natalizie è divenuto un vero e proprio trend. Per tale motivo sono sempre di più le aziende che decidono di intraprendere questa strada. Infatti, se un’azienda decidesse di mantenere lo stesso prodotto uguale in tutto e per tutto, anche durante il periodo natalizio si troverebbe notevolmente in svantaggio rispetto a chi ha scelto di creare un nuovo aspetto per il proprio prodotto (o addirittura un nuovo prodotto ad hoc). Inoltre, realizzare una limited edition natalizia crea un legame emozionale con il nostro potenziale compratore. Arricchire gli scaffali dei supermercati di prodotti a tema natalizio permette al cliente di assaporare pienamente l’atmosfera del Natale. Il consumatore viene indotto all’acquisto al fine di portare un po’ di quest’atmosfera a casa con sé. Dunque, realizzare una “Christmas limited edition” può rivelarsi, in termini di vendita, una scelta molto astuta.

La forma del Natale

Uno dei modi per rendere natalizio il vostro prodotto è quello di cambiargli forma. Infatti, sono numerose le aziende che decidono di rinnovare la forma dei loro prodotti in occasione del Natale. Vediamo alcuni esempi.

Per la stagione natalizia Barilla trasforma gli amati Pan di Stelle in golosi balocchi. Infatti, il biscotto si trasforma dalla tradizionale forma rotonda in squisite stelle, campanelle e alberelli, tutti dotati di un apposito foro per poter appendere il biscotto all’albero.

Il cioccolato Lindt è uno dei regali più apprezzati durante il periodo natalizio. Motivo per cui l’azienda si è impegnata nel realizzare per l’occasione un prodotto che è divenuto una vera e propria icona del Natale: l’Orsetto Lindt.

Apposta per te

Alcune aziende in vista del Natale decidono di realizzare un prodotto completamente nuovo, che abbia una stretta connessione con la festa. E’ il caso di FORST, che ogni anno presenta la sua birra di Natale. Si tratta di una birra esclusiva, che ad ogni edizione raffigura le tradizioni legate alle festività. Quest’anno è la volta del giorno di San Nicolò, un festa celebrata nelle zone di lingua tedesca il 5 dicembre. Oltre ad un design innovativo e natalizio, la birra presenta anche un sapore diverso dalle classiche birre, pensato dall’azienda appositamente per accompagnare i pasti delle feste. (Se volete saperne di più cliccate qui)

Il Natale in una scatola

Un’altra strategia per creare versioni natalizie del proprio prodotto è quella di realizzare un packaging tematico. Ad esempio seguono questa tendenza marchi come Ferrero e Keglevich.

Ferrero in occasione del Natale cambia veste al suo prodotto di punta: la Nutella. Quest’anno l’iconico vasetto presenta tre versioni diverse, una per ogni formato. Il vasetto da 200g presenta decorazioni natalizie disegnate con stile minimalista. Il vaso da 800g rappresenta i simpatici personaggi del Natale. Il vaso da 950g presenta un omaggio, ovvero degli stampini per biscotti, che come ci dice il sito sono ideali “per dare un tocco speciale alle vostre ricette”.

Keglevich cambia look alla linea Dry della celebre vodka. La bottiglia, solitamente in vetro trasparente si colora ora di bianco, blu e di cristalli di ghiaccio. L’eleganza della bottiglia trasforma la vodka nell’ideale cocktail da portare in tavola durante i festeggiamenti con amici e famiglia.

Il Natale è ormai alle porte. Se anche tu vuoi “vestire per le feste” il tuo prodotto non ti resta che contattarci!

 

Happy Birthday Mickey Mouse!

Happy Birthday Mickey Mouse

Numerosissimi sono i brand che adottano come strategia di marketing la limited edition, ovvero la creazione di una versione alternativa, nuova e, soprattutto, limitata del prodotto solitamente venduto. L’efficacia di questa strategia è determinata dall’aura di esclusività che si crea attorno al prodotto, che lo spoglia dalla sua semplicità e lo trasforma in oggetto da collezione. E quale occasione migliore per creare limited edition se non il compleanno del topo più famoso del mondo?? Proprio così, parliamo del nostro Mickey Mouse, per noi italiani noto come Topolino, che celebra ben 90 anni! 

Un’icona senza tempo 

La simpatia di Mickey Mouse entra nelle nostre vite il 18 novembre 1928, quando per la prima volta lo vediamo sul grande schermo con Steambot Willie mentre allegro fischietta manovrando il timone di una barca. Quello che all’epoca non potevamo sapere è l’importanza che questo adorabile musetto avrebbe assunto negli anni. Divenuto il personaggio principale dell’universo Disney e l’unico protagonista di un cartone animato ad apparire nella Walk of Fame di Hollywood, Mickey Mouse si afferma come un’autentica icona pop senza tempo. Parte così la febbre dei festeggiamenti, che vede coinvolti innumerevoli brand che partecipano con divertenti capsule collection (edizioni limitate).

I 90 anni di Mickey Mouse nel mondo della moda

Nel mondo del fashion i festeggiamenti si aprono con t-shirt, felpe e accessori che rendono omaggio all’iconico personaggio Disney. Si parte dalle catene di abbigliamento come Berhska, Pull&Bear, Intimissimi ecc. che hanno una certa famigliarità con la strategia della limited edition. Si passa poi all’attesa collaborazione Moschino&HM, con coloratissime felpe che propongono una versione streetstyle di Topolino. Per poi passare a case di moda più prestigiose come Lacoste e Clarks. Quest’ultima ha realizzato un’esclusiva versione dei classici polacchini sui quali vi è rappresentato il Mickey Mouse di Steambot Willie. (Per vedere le altre fashion limited edition clicca qui)


Non solo moda… 

Il tema Topolino non trova riscontro solo nell’ambito del fashion. Sia Swarovski che Pandora omaggiano il personaggio Disney con originali linee di gioielli, mentre Thun realizza una serie di statuette ispirate al nostro Mickey Mouse mantenendo lo stile vintage dell’azienda. I festeggiamenti continuano anche nel mondo dell’elettronica grazie a Smeg e Apple. Smeg ha realizzato un’esclusiva versione dell’iconico frigorifero FAB (solo 90 esemplari) sul quale appare Topolino che tenta scherzosamente di raggiungere la maniglia. Mentre Apple celebra il personaggio dedicandogli un’edizione speciale delle cuffie Beats by Dr. Dre, sulle quali è rappresentato in versione vintage.

“Buon compleanno Topolino!”: i 90 anni di Topolino nella GDO

Alla festa si unisce anche l’ambito della GDO. Ad esempio, l’azienda italiana di supermercati Il Gigante ha organizzato in occasione del compleanno di Mickey Mouse una raccolta punti che premia il cliente con i peluche dei personaggi principali del mondo Disney e un sorprendente concorso a premi, del quale abbiamo personalmente gestito l’accesso online (potete scoprire di più qui).

 

Prima di lasciarci Walt Disney disse: «Spero non ci si dimentichi mai di una cosa: tutto è cominciato con un topo». In questo novembre 2018, in cui Topolino festeggia il suo novantesimo anniversario, possiamo indubbiamente dire che il mondo non si è scordato di lui. Anzi, è divenuta una delle icone pop per eccellenza, intramontabile e sempre amata da tutti.

Google AdWords: la pubblicità online

Al giorno d’oggi l’obiettivo di ogni azienda è quello di emergere nel mondo della rete potendo così raggiungere un vasto pubblico di potenziali clienti. Al fine di aumentare la propria visibilità online vi sono diverse strategie, una fra le più importanti è indubbiamente la pubblicità tramite Google AdWords. Ma cos’è Google AdWords e come funziona? Scopriamolo insieme!

Cos’è Google AdWords

Google Adwords è un programma di advertising online appartenente a Google. Uno strumento che ci permette di creare campagne pubblicitarie che possono apparire su siti internet tramite annunci testuali e banner o nella pagina dei risultati Google. La genialità di Google AdWords risiede nella possibilità di indirizzare la propria campagna pubblicitaria verso un target di clienti molto preciso (indicandone alcune caratteristiche, come ad esempio: il genere, la provenienza, l’età ecc.) e di decidere su che tipo di siti Internet debbano comparire i nostri annunci (ad esempio siti che parlano di viaggi). 

Rete di ricerca e rete display 

Abbiamo visto che i nostri annunci appaiono in Internet principalmente secondo due modalità, andiamo ad analizzarle: 

La rete display è costituita da annunci che appaiono su siti Web. Perlopiù si tratta di inserzioni pubblicitarie che sfruttano spazi messi a disposizione dai publisher, ovvero tutti coloro che hanno un software che offre contenuti sul web (come ad esempio YouTube). Un particolare modo di sfruttare la rete display è il remarketing. Si tratta di una forma di pubblicità che propone annunci agli utenti sulla base delle loro precedenti ricerche su internet. Questa pratica è indicata soprattutto per gli e-commerce, che sottoponendo continuamente l’utente alla visione dell’articolo precedentemente visualizzato, lo invogliano all’acquisto. 

La rete di ricerca ci permette di visualizzare i nostri annunci nella pagina dei risultati di Google: la SERP (Search Engine Results Page). Gli annunci sono distinti dai risultati organici (ne abbiamo parlato qui) tramite una label: “Ann.” e compaiono sempre fra i primi tre risultati della pagina. 

Come funziona Google AdWords: la logica delle keywords

Le keywords (parole chiave) sono parole o frasi, scelte da noi, correlate con il prodotto o servizio che vogliamo pubblicizzare. Si tratta di un codice che ci collega direttamente con il potenziale cliente. Vediamo un esempio:

Siamo i proprietari di un hotel a Londra e vogliamo pubblicizzare un’offerta last minute. Scegliamo allora di collegare il nostro annuncio alle parole chiave Hotel Londra. Quando un utente ricerca su Google le parole Hotel Londra, o parole simili, il nostro annuncio potrebbe comparire accanto agli altri risultati. Ogni parola chiave ha un costo, che dipende da quanti inserzionisti legano quella parola ad annunci e quanto sono disposti ad investire su di essa. A stabilire quali annunci verranno effettivamente visualizzati su Google è un meccanismo automatico di asta. Vincerà l’asta chi sarà disposto ad investire di più per la parola chiave ma soprattutto chi vanterà la massima coerenza fra parola chiave scelta e prodotto/servizio a cui viene correlata. 

Quanto costa un annuncio su Google AdWords: il PPC

Completata la nostra campagna pubblicitaria è tempo di stabilire il prezzo che siamo disposti a pagare a Google per il nostro annuncio. Il costo dell’inserzione pubblicitaria è determinato da un meccanismo denominato PPC (Pay per Click).

Si stabilisce un importo massimo per clic che viene scalato ogni volta che un utente clicca sul nostro annuncio da un budget giornaliero fino ad esaurimento budget. Perciò è importante massimizzare il rapporto spesa/click, soprattutto quando si tratta di annunci correlati a keywords molto ricercate. 

Nonostante l’apparente semplicità e gli innumerevoli tutorial reperibili in Internet (compresa la guida di Google) , Google AdWords è un mondo molto complesso. Per questo motivo, se non avete dimestichezza con il Web, l’aiuto di un professionista è la giusta strada da intraprendere: vi farà evitare costosi tentativi e garantirà il successo della vostra campagna pubblicitaria.